"Io viaggio con la nostra terra e sempre vivono con me,
lontano, le essenze longitudinali della mia patria". Queste parole di
Pablo Neruda introducono la terza parte di un libro bellissimo, "D'amore e
d'ombra" di Isabel Allende.
La terra è il Cile, il paese del poeta e della scrittrice,
che ho visitato a Natale e che si associa ad un nome terribile: Pinochet, il
generale detto "il macellaio" che governò con il sangue dal 73 al 90.
Facciamo un passo indietro.
Gli Stati del centro e del sud dell'America sono sempre
stati molto influenzati dagli USA che volevano controllarli soprattutto per
gestire importanti risorse come miniere e petrolio.
Nel 70 però in Cile venne eletto democraticamente Presidente
Salvador Allende, uno dei fondatori del partito socialista. Questa vittoria
allarmò gli USA e gli strati più ricchi della popolazione che avevano accumulato
ricchezza in quegli anni anche grazie ad affari sporchi e allo sfruttamento del
lavoro dei nativi indios. Il programma di Allende era molto coraggioso:
nazionalizzare le banche, fare la riforma agraria per ridare le terre agli
indios, gestire la massima ricchezza del paese, il rame, che fino a quel
momento era controllato da grandi aziende statunitensi. Questo in particolare
scatenò contro di lui l'ostilità dei grandi capitalisti e della CIA. Nel
1972-73 l'economia cilena entrò in crisi. Gli USA per danneggiare Allende
fecero crollare il prezzo del rame, uno sciopero dei camionisti gettò il paese
nel caos bloccando la distribuzione del cibo. I ricchi iniziarono a protestare,
le donne delle classi più agiate scesero in strada battendo con i mestoli sulle
pentole contro la carenza di cibo. Infine l'11 settembre 73 le forze armate
organizzarono un golpe. Offrirono ad Allende di scappare dal Paese con la sua
famiglia ma egli rifiutò: rinchiuso nella Moneda, il palazzo presidenziale,
pronunciò alla radio il suo ultimo, toccante, discorso. I militari occuparono
con i carri armati le strade e circondarono la Moneda bombardandola con gli
aerei. Allende si suicidò sparandosi un colpo alla testa.
Il regime di Pinochet uccise politici, intellettuali, poeti,
artisti, professionisti: circa 40.000 morti e desaparecidos. Fu disposta la
legge marziale, venne utilizzata la tortura, furono cancellati i partiti
politici, il Parlamento, i sindacati.
Nel 98, mentre era a Londra per una operazione chirurgica,
Pinochet fu finalmente arrestato su mandato di un giudice spagnolo. Il governo
del Cile si oppose al suo arresto e al suo processo. Nel 2000 gli fu concesso
di rientrare in Cile dove finalmente iniziarono ad indagare su di lui. Pinochet
riuscì comunque ad evitare fino alla fine un processo vero e proprio, e Il 10
dicembre 2006 morì per problemi cardiaci a Santiago.
Perché vi racconto questa storia? Non solo perché si studia
a scuola o è il tema del libro letto per le vacanze ma perché tutto questo si
respira ancora in un Paese che è pieno di ingiustizie, diseguaglianze, in cui
le persone rifiutano di sapere e di porsi domande su quanto sia realmente
accaduto. Gli anni di dittatura hanno lasciato un segno profondo soprattutto
nei ceti medio-alti, dove ancora si ragiona parlando di razze e di classi
sociali. Gli ospedali pubblici sono pessimi, le scuole pubbliche si fermano a
13 anni dopodiché l'istruzione e la salute si pagano (per frequentare medicina
servono 2.000 € al mese per cinque anni). I ricchi vogliono solo gestire i loro
privilegi, vogliono credere che in realtà Pinochet abbia salvato il Cile da un
destino simile a quello di Cuba o del Venezuela e ritengono i morti del passato
un male minore.
“Ho fede nel Cile e nel suo destino”, recita l'epigrafe
della statua di Allende che campeggia di fronte alla Moneda.
Ecco, l'effetto che ha avuto su di me questo viaggio è stato
paradossalmente quello di aiutarmi ad apprezzare di più il Paese in cui vivo,
che nonostante tutti i problemi e le brutture della politica, può dirsi ancora
quanto meno democratico.
Mattttttttttttttttttttttttttttttttttttttteo Renzi e Lucia
RispondiElimina